Un video in lacrime accende il dibattito. La giovane racconta l’episodio in ospedale, ma sui social scatta la gogna sulle sue foto private. Resta però una domanda di fondo

Una visita medica si è trasformata in un incubo per una giovane paziente di 23 anni al Policlinico Umberto I di Roma. La ragazza ha denunciato pubblicamente, con un video diffuso sui social, di essere stata vittima di una molestia verbale da parte di un tecnico durante una TAC.
Nel filmato, in lacrime, ha raccontato la frase ricevuta: “Se vuoi togliere il reggiseno ci fai felici tutti”. Parole che hanno immediatamente fatto scattare polemiche e reazioni ufficiali.
La giovane era arrivata al pronto soccorso nel pomeriggio e, dopo ore di attesa, si stava sottoponendo a un esame al cranio. Prima della TAC, il tecnico le aveva chiesto di togliere orecchini e mascherina a causa del ferretto.
A quel punto la ragazza aveva domandato se fosse necessario togliere anche il reggiseno. La risposta iniziale era stata professionale: “No, tanto la TAC è solo cranio”. Subito dopo, però, l’uomo avrebbe rivolto ai colleghi una battuta volgare: “Certo, se poi lo vuoi togliere ci fai felici tutti”.
La 23enne, scossa e indignata, ha deciso di raccontare tutto sui social: «Non bisogna stare in silenzio davanti a situazioni del genere».
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Il video ha avuto un’ampia risonanza e in poche ore il Policlinico Umberto I ha diffuso una nota ufficiale. La direzione ha confermato l’apertura di un’attività istruttoria interna per verificare la condotta dell’operatore sanitario. “Il nostro obiettivo – si legge – è garantire ambienti di cura rispettosi e sicuri. Non è possibile tollerare eccezioni”.

Alla denuncia pubblica della ragazza si è però intrecciata un’altra discussione. Alcuni utenti hanno fatto emergere foto e contenuti personali della giovane, sottolineando come la sua immagine “disinibita” sui social non coinciderebbe con quella della paziente imbarazzata e in lacrime nel video-denuncia.
Un meccanismo tipico delle piattaforme: la spettacolarizzazione del privato che si trasforma in arma di delegittimazione.
Il punto centrale, però, non cambia. Al di là della vita privata o delle scelte comunicative di una ragazza di 23 anni, il gesto del tecnico non perde gravità. Una battuta a sfondo sessuale, in un contesto sanitario e di fragilità, creerebbe disagio a chiunque, indipendentemente dalla propria immagine pubblica.
Il caso mette in luce due piani diversi: da un lato la denuncia di un episodio che non dovrebbe mai accadere, dall’altro la gogna social che rischia di distorcere la percezione della vicenda. Resta però un dato: in ospedale, come ovunque, il rispetto del paziente non è un’opinione.
 
 




